Fu grazie ai missionari francesi che nel 1893 il caffè fu introdotto in Kenya dal Brasile, e giunse non molto lontano dal luogo in cui 600 anni prima questa pianta cominciò il suo lungo viaggio, l’Etiopia, attraversando tutti i continenti, chiudendo così il cerchio.
La coltivazione si concentrò inizialmente nel distretto di Kiambu, a nord di Nairobi, capitale del paese e centro nevralgico nella produzione di caffè, grazie alle numerose strutture messe in piedi dai missionari nel corso degli anni. La varietà prodotta originariamente era esclusivamente di tipo Bourbon, ancora oggi conosciuta come French Mission Varietal, una delle migliori che si possano trovare.
Fino al 1950 il caffè veniva coltivato in piantagioni di grandi dimensioni gestite da contadini di origine europea. Nel 1952 il mercato fu aperto anche ai kenioti che si organizzarono in cooperative in modo da condividere le spese di manutenzione, investimenti ed attrezzature, altrimenti fuori dalla portata dei piccoli proprietari. Queste cooperative sono oggi ben organizzate e strutturate, suddivise in “distretti” e “fattorie”, e sono responsabili della maggior parte delle esportazioni del paese.
Il sistema di vendita segue uno schema ben preciso: ogni settimana vengono presentati più di 500 lotti venduti attraverso delle aste a cui possono accedere solo esportatori privati accreditati, sotto la supervisione del Kenyan Coffee Board e il Nairobi Coffee Exchange. Di recente, viste le numerose rimostranze delle cooperative riguardo il ritardo nei pagamenti e la scarsa remuneratività per i coltivatori attraverso questo sistema di vendita, venne concessa dal governo la possibilità ai produttori locali di trattare direttamente con gli esportatori. Dal 2002 le aste di vendita sono gestite all’NCE da tre agenzie di marketing accreditate: la Millers Socfinaf, Kenya Planters’ Co-operative Union (KPCU) e Thika Coffee Mills (TCM)